Perché il cervello va in cortocircuito?

Molte persone credono che il cervello umano sia una macchina oggettiva in grado di gestirci perfettamente. Eppure questa convinzione è molto lontana dalla verità – il nostro cervello fa tantissimi errori, specialmente nel modo in cui pensiamo. La mente infatti usa dei filtri che si sono evoluti insieme a noi per aiutarci a sopravvivere come specie, ma ciò che era necessario agli uomini delle caverne non è sempre utile o applicabile alle vite che viviamo oggi.

I filtri presenti nel nostro cervello sono chiamati bias o pregiudizi cognitivi. Non sono veri e propri cortocircuiti o errori di programmazione; hanno uno scopo, e non riflettono i nostri livelli di intelligenza. Si attivano in tutti noi nelle giuste circostanze. Essenzialmente, ci deviano dal pensiero razionale.

Ciò accade per diverse ragioni:

Il cervello è uno strumento potente, ma è anche soggetto a limitazioni. Siamo programmati per automatizzare il nostro processo decisionale, e questo ci fa risparmiare tempo ed energia. Se dovessimo pensare per ore ad ogni singola decisione che dobbiamo prendere, faremmo molto meno.

Come si manifestano i pregiudizi cognitivi nella vita di tutti i giorni? Ecco alcuni esempi:

BIAS DELL'AUTORITÀ

Si manifesta spesso nelle pubblicità. Il bias dell’autorità descrive la nostra tendenza naturale a considerare le opinioni di una figura autorevole come altamente influenti e importanti. Per questo motivo, siamo più inclini a farci influenzare da tali opinioni. In tal senso, il termine “autorevole” non è accostato necessariamente a un leader, ma ad un esperto, un professionista, una persona competente, un medico, un avvocato, uno scienziato, un grande sportivo, un insegnante, e così via.


Questo pregiudizio gioca un ruolo importante, perché non possediamo la conoscenza assoluta, dobbiamo per forza fare affidamento sulle competenze e le conoscenze di altre persone. Dobbiamo fidarci degli esperti, dei professionisti, dei medici. Ma è bene ricordare a noi stessi che il nostro cervello potrebbe scegliere di seguire qualcuno solo per la sua autorevolezza, non per la qualità di ciò che ha da condividere. Il consiglio per tenere sotto controllo questo bias è quello di analizzare criticamente le intenzioni dell’esperto, il suo background, o le ragioni per cui il consiglio di questa particolare persona ci sembra così prezioso.

In che occasioni si manifesta questo pregiudizio? Basti pensare ad alcuni episodi realmente accaduti: leader brutali che hanno avuto un grande seguito nel corso della storia, gente che ha ucciso per conto di quei leader, o che è morta per loro. I leader possono usare la loro autorità a proprio vantaggio. Il bias dell’autorità può anche applicarsi ai leader religiosi che usano la propria influenza per reclutare seguaci: pensate ad alcuni episodi recenti di violenza motivati dalla religione.

Esistono però anche episodi di minore risonanza. Per esempio le pubblicità. Attori in camice bianco (presumibilmente dentisti) che consigliano l’acquisto di un determinato dentifricio perché il nostro cervello tende a considerare la loro opinione più affidabile. In una pubblicità di successo della Dell, Sheldon Cooper (o più precisamente Jim Parsons, l’attore che interpreta Sheldon Cooper, il noto personaggio superintelligente della serie TV “The Big Bang Theory”) vendeva computer Dell. Jim Parsons è un esperto informatico? Non proprio, ma lo associamo al nerd della serie che sa tutto sui computer, e quindi tendiamo a fidarci inconsciamente dei suoi consigli. Quindi, anche se normalmente risulta vantaggioso fidarsi delle opinioni di figure autorevoli e competenti, come avvocati o medici, dovremmo comunque riflettere sull’origine dell’autorevolezza che attribuiamo a queste persone e di cosa vogliono convincerci.

Infatti, è facile fingersi una persona autorevole. In una pubblicità di dentifrici, basta che un attore indossi un camice bianco per far sì che alle sue parole venga dato un certo peso. Soprattutto nel mondo online, a volte è sufficiente che qualcuno dichiari di essere un avvocato affinché le sue opinioni vengano ascoltate o condivise.


Il pregiudizio di autorità è un problema serio in politica. Se una certa figura politica mostra carisma, leadership o altre caratteristiche associate all’autorità, queste caratteristiche spesso assumono più importanza rispetto al contenuto dei suoi discorsi. Il valore dei suoi argomenti e le qualità personali passano in secondo piano rispetto alla sua autostima e all’aura di autorevolezza. Questa è una delle ragioni per cui figure come Hitler hanno ottenuto un così ampio consenso tra il popolo. Ha fatto appello all’innata predisposizione della gente a seguire e a fidarsi delle persone autorevoli. Non è colpa nostra, siamo stati abituati così fin dalla preistoria, ma possiamo fare qualcosa per arginare questo bias.


Come possiamo combattere il bias dell’autorità? A volte basta chiedersi: a) È davvero autorevole nel suo campo? b) C’è qualcosa che potrebbe influenzare la veridicità dell’opinione di questa persona autorevole? c) Perché seguo o voto certi politici rispetto ad altri? È perché li ritengo competenti, so davvero cosa sostengono? Riesco a definire le caratteristiche e le idee politiche di queste persone che dimostrano una certa competenza?

FAVORITISMO DEL GRUPPO INTERNO O BIAS DEL GRUPPO INTERNO E GRUPPO ESTERNO

Il favoritismo del gruppo è uno dei pregiudizi più bizzarri e allo stesso tempo comuni che possiamo riscontrare. Abbiamo sempre vissuto in gruppi, ed è così che la specie umana si è evoluta nel corso del tempo. Far parte di un gruppo ci protegge dai pericoli della vita solitaria. I nostri antenati avevano bisogno del gruppo per muoversi nell’ambiente che li circondava. Ciò che si è evoluto insieme a questo stile di vita è il favoritismo di gruppo. Funziona così: indipendentemente dal gruppo in cui ci si identifica (la propria classe, il gruppo di amici più stretti, i tifosi di una squadra sportiva), si sviluppa la tendenza a pensare a cose positive in relazione ai membri del “proprio” gruppo rispetto ai membri di “altri” gruppi (ad esempio, la squadra rivale o le persone che vanno in una scuola diversa).


Funziona così in tutti gli ambienti. Per esempio, supponiamo che voi siate tifosi del Manchester United e che stiate seguendo la partita contro il Barcellona. Probabilmente tenderete a sminuire qualsiasi atto violento compiuto dai tifosi della tua squadra e a giudicare più duramente i tifosi della squadra avversaria qualora dovessero compiere la stessa azione. Lo stesso vale per i giocatori; se un giocatore della vostra squadra commette fallo su un avversario, probabilmente lo giudicherete con più indulgenza e penserete che il giocatore che ha subito il fallo stia solo simulando.

Agiamo sempre in questo modo, in tutti gli scenari e i contesti possibili: è una tendenza innata. Diversi studi dimostrano come dei perfetti estranei che non hanno nulla in comune, una volta raggruppati in maniera del tutto casuale, inizieranno ad agire più generosamente con i membri del loro gruppo e svilupperanno un sentimento antagonista nei confronti dei membri appartenenti a un gruppo differente. Ciò accade senza alcun motivo specifico, è un pregiudizio così profondamente radicato in noi in quanto esseri umani, che si attiva automaticamente quando percepiamo di appartenere a un gruppo. Da qui deriva la tendenza a contrapporsi ai membri dell’altro gruppo, un gruppo esterno a cui non apparteniamo. Come nell’esempio dei tifosi di calcio, non si tratta solo di pensare di essere migliori, ma anche di giudicare duramente ciò che fa l’altro gruppo. Sviluppiamo un senso di identità rispetto al gruppo esterno, costruito sull’idea che loro sono “peggio” di noi.


Di fatto, questa convinzione è alla base del concetto di discriminazione – pensare che il gruppo a cui si appartiene sia migliore rispetto agli altri gruppi, tendendo a disprezzare e maltrattare i membri del gruppo esterno.

Potete immaginare quanto sia facile fare un uso improprio di questo pregiudizio. L’aspetto più complesso dei pregiudizi cognitivi è che si attivano automaticamente, come un riflesso, senza il nostro pensiero cosciente. Fanno parte del nostro inconscio, il cosiddetto pensiero automatico. Pertanto, è facile essere influenzati dai bias, e il marketing e la comunicazione politica, in particolare, possono usare consapevolmente questi meccanismi per convincervi a comprare qualcosa o a votare per qualcuno.

Il vostro bias di gruppo viene “risvegliato” ogni volta che un politico parla di “noi” contro “loro”, cioè “la nostra gente, quella a cui apparteniamo”, e gli “altri”, coloro che appartengono ad un gruppo diverso. Ci sono letteralmente milioni di esempi del genere. Forse non lo ricordate, ma quando il presidente americano George W. Bush decise di andare in guerra contro il gruppo terroristico di Al-Qaeda attaccando l’Afghanistan e l’Iraq, fece un discorso tendenzioso:
“Gli americani si chiedono: Perché ci odiano?”
Odiano ciò che vedono proprio qui in questa sala: un governo democraticamente eletto. I loro leader sono autoproclamati. Odiano le nostre libertà … Sono contro di noi perché noi li ostacoliamo”.
Questa tecnica si appella all’innato pregiudizio del gruppo interno-gruppo esterno. Parole come “noi”, “nostro” e “loro” sono tipici esempi di discorso in cui l’oratore divide la società in due categorie. Il pubblico di riferimento è il “noi”, i “buoni”, e “loro” sono i “cattivi”. Questa divisione può innescare automaticamente il pregiudizio. Inoltre, è facile identificare il gruppo esterno come un potenziale pericolo (lo vedremo con il bias di negatività) e mobilitare gli americani per la causa – per combattere contro di “loro”.

In effetti, numerosi politici di diversi paesi usano strategie narrative che fanno appello al bias del gruppo interno-esterno nei loro discorsi. Ecco alcuni esempi:
“Non ammetto, per esempio, il grande torto compiuto nei confronti dei pellerossa d’America o dei neri d’Australia. Non ammetto che sia stato fatto un torto a queste persone per il fatto che una razza più forte, una razza di livello superiore, una razza più saggia, per dirla così, è arrivata e ha preso il loro posto”. Sono parole del famoso ex primo ministro britannico Winston Churchill.
“I vostri paesi sono disseminati di basi americane e di infedeli che diffondono la corruzione ovunque”. Questa frase è stata pronunciata dal leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, che in un discorso in occasione del 18° anniversario degli attentati dell’11 settembre (i famigerati attacchi alle Torri Gemelle da parte del gruppo terroristico Al-Qaeda) ha fatto appello ai musulmani per fomentare l’attacco alle basi militari statunitensi, europee, israeliane e russe.
“La difesa dei nostri valori e della nostra identità richiede una regolamentazione della presenza islamica e delle organizzazioni islamiche in Italia”. Lo ha detto il politico italiano di estrema destra Matteo Salvini.
Vedete? In tutti gli esempi sopracitati c’è sempre un “noi”, persone migliori e giuste, che siano inglesi per Churchill, musulmani per al-Zawahiri o italiani per Salvini. E ci sono sempre dei “cattivi”, non solo individui che fanno cose cattive, terroristi, assassini e così via, ma l’intera etnia, un’intera nazione. Per Churchill, i nativi d’America e Australia erano inferiori, per il leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, il gruppo inferiore riguarda gli americani e coloro che non seguono i fondamenti dell’Islam, mentre per Salvini, tutti i musulmani sono un problema.
Ancora, questa tecnica comunicativa era ben nota anche a Hitler. Una volta disse che “Un leader deve avere la capacità di far apparire avversari diversi come fossero appartenenti a una sola categoria”. È così che si crea un gruppo esterno facilmente riconoscibile, “loro”, i “cattivi”, i “nemici”, ed è molto facile incolpare “loro” per le cose brutte, dirigere la propria rabbia contro di loro e non contro i propri rappresentanti politici.
Come possiamo superare questo favoritismo del gruppo? Prima di tutto, è bene conoscerlo ed esserne consapevoli. La prossima volta che sentirete un politico usare termini come “noi” contro “loro”, ricordate che non è mai così semplice e che è possibile riscontrare delle differenze anche all’interno del più piccolo dei gruppi di cui fate parte. Ricordate che il sol fatto di non avere familiarità con un gruppo non è necessariamente sinonimo di minaccia o di qualcosa di cui aver paura.

BIAS DI CONFERMA

Sicuramente vi siete già imbattuti nei bias di conferma, magari senza rendervene conto. Il bias di conferma è il grande nemico della scienza e del processo di apprendimento. Infatti, numerose ricerche dimostrano la nostra bravura nel ricercare informazioni, ma non necessariamente nel valutarne l’obiettività. Infatti, normalmente tendiamo a cercare informazioni che confermano ciò che già pensiamo di sapere su un determinato argomento. Più ci sentiamo forti su un argomento, più tendiamo, più o meno inconsciamente, a ignorare quelle informazioni che contestano la nostra opinione.


È un po’ come fare una ricerca su Google – vi verranno mostrati risultati attinenti a ciò che avete scritto nella barra di ricerca. Di conseguenza riceverete una miriade di informazioni apparentemente rilevanti, ma è possibile che non terrete conto del modo in cui le avete cercate. Per esempio, supponiamo che pensiate che le mele siano salutari e che vogliate conoscere il loro valore nutrizionale. Nel motore di ricerca probabilmente digiterete “le mele sono salutari” invece de “gli effetti delle mele sulla salute”, usando parole chiave meno neutrali.

Raccogliamo e interpretiamo le informazioni in modo selettivo per confermare le nostre credenze ed opinioni. Potremmo giudicare duramente le critiche mosse nei confronti delle nostre convinzioni, mettendo in discussione le fonti dei dati, l’autore, i fatti e la loro integrità, mentre non metteremmo mai in discussione le fonti che confermano ciò in cui crediamo. Ciò ci rende vulnerabili alle fake news e alla disinformazione.

Il bias di conferma può avere gravi conseguenze. Per esempio, supponiamo che un ufficiale di polizia nel corso di un’indagine sospetti di un potenziale criminale. In questo caso, potrebbe valutare le prove raccolte in modo tale da non considerare ciò che contesta la sua ipotesi e dare più credito a ciò che invece conferma la sua opinione. Questo atteggiamento è pericoloso perché può portare a conclusioni sbagliate. Oppure, se abbiamo già dei pregiudizi contro determinati gruppi, per esempio un gruppo di politici corrotti, allora siamo più inclini a prendere nota delle fonti e delle informazioni che confermano queste ipotesi, piuttosto che degli esempi di fatti positivi compiuti da quei politici.

Il bias di conferma è spesso alla base delle bufale e delle fake news. La gente potrebbe credere a determinate notizie solo perché confermano qualcosa in cui già crede o in cui vuole credere. Non si tratta di un fenomeno moderno. Le bufale probabilmente esistono da quando gli uomini hanno iniziato a vivere in società organizzate.

Un esempio particolarmente cruento risale al periodo medioevale. In quei tempi, l’antisemitismo era molto diffuso. Numerosi cristiani dell’epoca incolpavano gli ebrei della morte di Gesù e li ritenevano responsabili come collettività. Durante il periodo delle Crociate, gli ebrei furono gradualmente allontanati da certe professioni, fu loro richiesto di indossare un distintivo giallo e furono addirittura espulsi da città e paesi (la prima espulsione di massa del popolo ebraico in Europa avvenne in Inghilterra nel 1290). In tali circostanze, a metà del XIV secolo scoppiò una pandemia dovuta a una misteriosa malattia chiamata Morte Nera, che si diffuse in tutto il Vecchio Mondo, uccidendo 20-25 milioni di europei e altri 35 milioni di cinesi in un solo decennio. A quei tempi, la gente ignorava l’esistenza di virus o batteri, quindi i problemi di salute erano spesso attribuiti all’avvelenamento. Non appena la malattia arrivò in Europa nel 1346, alcuni incolparono gli ebrei di aver avvelenato i pozzi, un esempio palese di bufala. Questa bufala medievale si diffuse velocemente tra le persone, anche senza l’aiuto dei media moderni. I pozzi costituivano una parte importante dell’infrastruttura delle città medievali – erano fonte di acqua potabile. Tra le altre prove “a conferma” della bufala, la gente sosteneva che gli ebrei non fossero stati colpiti dalla malattia in modo così severo. Ciò poteva essere attribuito al fatto che gli ebrei vivevano in aree segregate e non si rifornivano nei pozzi pubblici. Inoltre le loro pratiche religiose richiedevano un’igiene rigorosa.

Questa teoria cospiratoria si diffuse a macchia d’olio e, di conseguenza, in paesi come la Germania, l’Austria, la Francia e la Svizzera, le comunità ebraiche furono vittime di violenti pogrom. Migliaia di ebrei morirono o furono espulsi a causa di questa grande menzogna.
Ma perché la gente ci ha creduto? Perché molti pregiudizi erano già radicati in quelle società. La cospirazione era frutto di un pensiero comune che confermava ciò in cui si voleva credere, ovvero che gli ebrei fossero “cattivi”. La nostra mente preferisce credere in qualcosa che conferma ciò che già si pensa, semplicemente perché ci permette di risparmiare tempo ed energia rispetto alla lunga riflessione che dovremmo fare se mettessimo in discussione la nostra opinione.

Anche oggi si registrano diversi episodi di violenza a causa di bufale e teorie del complotto. In India, recentemente è circolato un video su WhatsApp con dei presunti rapitori di bambini. Come conseguenza, circa 24 persone sono state uccise perché somiglianti ai presunti rapitori di bambini. In realtà, il video che circolava si è scoperto essere falso – era stato preso da un video di una campagna per la sicurezza dei bambini in Pakistan e modificato ad arte.

Cosa possiamo fare per non cadere nel tranello dei bias di conferma? Non significa che non possiamo avere determinate convinzioni. Essere consapevoli dell’esistenza di questo tipo di pregiudizio può aprire le nostre menti ad altre spiegazioni possibili e può aiutarci a mettere alla prova le nostre convinzioni. Quando vi create un’opinione su qualcosa, cercate di capire se è basata su fatti reali e concreti. Avete fatto le vostre ricerche? In caso affermativo, vi state basando su un’opinione di un altro utente su Instagram o Twitter che ha scritto qualcosa che si avvicina alle vostre stesse convinzioni? Consultare diverse fonti ufficiali può aiutarci a capire se ci stiamo informando in maniera oggettiva o meno.

EFFETTO CARROZZONE

Come accennato in precedenza, gli esseri umani si sono evoluti grazie al gruppo, che ha garantito la sopravvivenza della specie nel corso dei secoli. L’effetto carrozzone, o effetto bandwagon, descrive come le persone spesso compiono azioni o credono in alcune cose solo perché la maggioranza della gente crede o fa quelle stesse cose. Quando più persone credono in qualcosa, anche gli altri tendono a “saltare sul carrozzone”, indipendentemente dall’evidenza fattuale sottostante. In altre parole, se pensiamo che una particolare opinione sia molto popolare, siamo più inclini ad adottarla per far parte di quella che percepiamo essere la “squadra vincente” grazie alla sua popolarità. Quando sembra che la maggioranza del gruppo faccia una certa cosa, non fare quella cosa diventa sempre più difficile.

Questo principio è anche alla base delle tendenze nel campo della moda: più persone indossano un determinato capo, più persone vorranno indossarlo. Quante volte vi è capitato di non apprezzare un determinato tipo di scarpe e di comprarne comunque un paio perché tutti i vostri amici le indossavano? Quante volte avete avuto paura di ammettere che vi piaceva un artista e avete fatto finta che non vi piacesse perché i vostri amici parlavano sempre di quanto non gli piacesse la sua musica?

Gli esseri umani hanno la tendenza a conformarsi perché ha i suoi vantaggi. Fare quello che fanno gli altri ci fa risparmiare tempo per capire cosa sia giusto fare per noi stessi. Nel fidarci dell’analisi degli altri, evitiamo di fare noi il lavoro di ricerca. Questo atteggiamento ci aiuta anche a far parte di un gruppo. Dall’altro lato, sostenere opinioni o fare cose che non ci piacciono per conformarci al di là della ragione è stressante.

In un famoso esperimento ripetuto diverse volte, ad un gruppo di persone viene mostrato un set di bastoni e viene chiesto di indicare quale secondo loro sia più corto degli altri. A tutti i membri del gruppo eccetto uno viene chiesto di concordare fermamente su un determinato bastone (quello sbagliato). Tra le persone inconsapevoli dell’esperimento, circa il 75% si è schierato dalla parte della maggioranza, non scegliendo il bastone oggettivamente più corto e sbagliando insieme a tutti gli altri membri del gruppo, in linea con il nostro istinto primordiale di conformarci agli altri.


Questo fenomeno viene particolarmente sfruttato durante le campagne elettorali: è facile che un individuo tenda a votare per un certo partito o candidato piuttosto che per un altro se tale partito viene votato da più persone.

Questo non significa che tutte le azioni di un individuo vengono dettate da ciò che fa la folla. Tuttavia, è bene tenere a mente che le nostre scelte possono essere talvolta influenzate dagli altri, anche senza che ce ne rendiamo conto, e che le nostre azioni possono riflettere la naturale inclinazione umana a voler far parte di una squadra “vincente”. Magari ridiamo anche delle persone che seguono qualche strana tendenza politica o commerciale.

In realtà, tutti tendiamo a farlo. Anche la partecipazione politica il più delle volte è basata sulle inclinazioni di altre persone: i nostri amici, i coetanei o i membri della famiglia.

Come si può compensare l’effetto bandwagon? Per prima cosa prendetevi del tempo per riflettere razionalmente e con onestà sul perché seguite una determinata tendenza. Vi piace veramente o lo fate perché piace ai vostri amici? Riflettete sul perché votate un determinato partito – concordate con i loro ideali e le loro proposte, oppure volete semplicemente essere in linea con le altre persone?

La cosa positiva è che è possibile usare questo bias per cambiare in meglio la propria vita. Circondatevi di persone che ammirate e rispettate, perché potreste benissimo adottare le loro opinioni o emulare le loro azioni. Fate questo nella speranza di essere davvero “…la media delle 5 persone con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo”, come dice una famosa citazione. Trovate un carrozzone in cui credere, uno su cui vorreste saltare.

PREGIUDIZIO DI NEGATIVITÀ

Vi è sicuramente capitato di essere insultati o giudicati male da qualcuno, magari alle vostre spalle, o che abbiate avuto un insuccesso, e che questa esperienza abbia rovinato il vostro umore per un tempo considerevolmente lungo. Non importa se si sono verificati altri eventi positivi o se alcune persone vi hanno fatto dei complimenti, il commento negativo rimane impresso nella vostra mente e non riuscite a liberarvene.

Ovviamente, è normale che alcune cose che ci capitano ci facciano stare male, che a volte siamo tristi o soffriamo, ma il cervello umano funziona in modo che le esperienze negative, e le emozioni negative che ne derivano, tendono a colpirci maggiormente. Un insulto, un feedback negativo o un esame non superato rovinano il nostro umore con un’efficacia molto maggiore e più duratura rispetto alla gioia che deriva da un successo o da un complimento. Secondo alcuni studi, per eguagliare l’impatto di un evento negativo servono ben tre eventi positivi della stessa intensità.

Questo processo è chiamato pregiudizio di negatività, e ha avuto un ruolo importante per la sopravvivenza della specie: gli esseri umani hanno una tendenza naturale a imparare di più dalle esperienze negative. In passato, infatti, ricordare gli episodi negativi (ad esempio l’incontro con un orso in un determinato luogo) per evitare di ripeterli in futuro (nel nostro caso, tornare in quel luogo) ha contribuito a preservare la specie. Oggi viviamo in un mondo completamente diverso, ciò significa che non abbiamo effettivamente bisogno del pregiudizio di negatività per la nostra sopravvivenza.

Questo bias, o filtro del cervello, ci porta anche a prestare più attenzione alle informazioni negative rispetto a quelle positive. Questo spiega perché siamo maggiormente attratti dalle brutte notizie e perché questo genere di notizie sono le più diffuse. Spiega anche perché i messaggi politici fanno spesso appello a minacce e alla paura del pubblico – catturano la nostra attenzione e si attaccano alla nostra memoria. Stesso motivo per cui le immagini che mostrano minacce, violenze, pericoli si diffondono in maniera virale sui social media.

Come possiamo combattere il pregiudizio di negatività? Probabilmente è un cliché, ma dobbiamo allenare il cervello a pensare positivo. Cerchiamo di riconoscere questo pregiudizio ogni volta che viene innescato (per esempio quando riceviamo una critica che ci butta giù), e cerchiamo di riflettere sul fatto che ci sentiamo così male a causa di un filtro automatico del cervello, ricordandoci di pensare invece ai commenti positivi che abbiamo ricevuto. Diamo al nostro cervello informazioni positive su cui concentrarsi.

EFFETTO DEI MEDIA OSTILI

Quando diamo un’occhiata alle notizie, non ci occupiamo solo di leggere un semplice testo. Metabolizziamo e interpretiamo informazioni in base ai nostri valori e alle nostre esperienze. Questa rielaborazione può distorcere il messaggio originale del testo. Ma come funziona esattamente?

Quando abbiamo un’opinione (per esempio riguardo il vegetarismo), tendiamo a pensare che il contenuto dei media vada contro le nostre convinzioni e che dia più rilevanza alle opinioni opposte (quelle degli amanti della carne). Se un gruppo di vegetariani e un gruppo di carnivori leggono la stessa notizia o lo stesso post, entrambi potrebbero percepire l’informazione come ostile rispetto alle proprie convinzioni.

Questo perché tendiamo ad interpretare le notizie attraverso la lente dei nostri pregiudizi e delle nostre convinzioni. Ciò significa che se la storia non è d’accordo con il nostro concetto di realtà, sicuramente è di parte, corrotta o imprecisa. Allo stesso tempo, normalmente non applichiamo gli stessi standard alle notizie che si avvicinano al nostro punto di vista. Più ci sentiamo forti riguardo al problema in questione, più l’effetto ostile dei media si fa sentire.

Questo bias si manifesta anche in altri contesti, per esempio nello sport. Spesso, infatti, entrambi i gruppi di i tifosi di due squadre rivali pensano che l’arbitro sia a favore della squadra avversaria. È più che un fattore emotivo. Studi recenti dimostrano come i tifosi a cui viene chiesto di contare il numero di falli commessi da entrambe le squadre tendono ad assegnare meno falli alla propria squadra rispetto a quelli realmente commessi, facendo apparire l’arbitro come fazioso.

Questo effetto si verifica in tutti i media tradizionali, in quanto seguiti da un gran numero di persone. Se consideriamo un articolo di parte, o “ostile” rispetto alla nostra posizione, si sviluppa in noi la convinzione che i media riportano informazioni distorte e che numerose persone saranno influenzate da queste notizie distorte. Attenzione, questo avviene indipendentemente dalla qualità di certi media. Sicuramente esistono mezzi di comunicazione migliori e altri meno, diciamo che normalmente i media cercano di riportare notizie accurate e oggettive. Nonostante ciò, l’effetto dei media ostili entra in gioco anche per il più obiettivo degli articoli. È un problema di percezione dell’ostilità, non di qualità oggettiva di una notizia.

Succede quindi che la gente percepisca uno o più media come non obiettivo, corrotto, di proprietà di alcuni gruppi di interesse. Di conseguenza, queste persone tendono a cercare fonti alternative, spesso oltre i media tradizionali, alcune delle quali producono notizie di dubbia qualità o veridicità.

I politici disonesti fanno appello a questo pregiudizio cognitivo giudicando tutti i media come “ostili” o faziosi, mentre in realtà di solito riportano solo i fatti e non omettono i dettagli negativi. Guardate cosa ha twittato Donald Trump, l’ex presidente americano, sui media:

“Qual è lo scopo di organizzare conferenze stampa alla Casa Bianca quando i media lamestream non fanno altro che domande ostili, e poi si rifiutano di riportare la verità dei fatti con precisione. Hanno ottenuto ascolti record, e il popolo americano non ottiene altro che Fake News. Non vale il tempo e lo sforzo!”

Naturalmente, è possibile che i media riportino notizie non del tutto oggettive, ma qui Trump ha ammesso pubblicamente di opporsi ai media tradizionali perché non hanno riportato la notizia come LUI voleva. Nonostante ciò, ha approfittato della situazione per promuovere l’effetto ostile dei media tra i suoi sostenitori in maniera efficace – in modo che anche loro diffidassero dei media tradizionali.
In effetti, pensiamo questo di qualsiasi “arbitro” – il genitore, che è “sempre contro di noi” nella nostra lotta con i fratelli, un ufficiale di polizia, o un giudice all’interno dell’aula di tribunale. Tendiamo a giudicare coloro che non accettano la nostra posizione come prevenuti nei nostri confronti

Cosa dovremmo fare allora? In primo luogo, è bene sapere che questo bias fa sì che ricerchiamo notizie da diverse fonti ufficiali. Sicuramente considereremo queste fonti come ostili o faziose. Tuttavia, nel momento in cui raccogliamo informazioni da diverse fonti, dobbiamo tenere a mente che questi pregiudizi dovrebbero essere bilanciati. Un’altra strategia è quella di guardare le reazioni delle altre persone alla stessa notizia. Se persone con opinioni diverse ritengono che la stessa notizia sia ostile e faziosa, allora è probabile che invece quell’articolo sia neutrale.

BIAS DI SUPERIORITÀ DELL'IMMAGINE

Il bias di superiorità dell’immagine è semplice da comprendere. Di solito risulta più facile ricordare foto o immagini rispetto a un testo scritto. Normalmente le persone dopo tre giorni ricordano circa il 10% di ciò che hanno letto. Se al testo aggiungiamo un’immagine, arriviamo fino al 65%. Questo è il motivo per cui le pubblicità e internet sono pieni di immagini, per attirare la nostra attenzione e propinarci un messaggio che potremmo ricordare meglio.

La superiorità delle immagini rispetto alle informazioni testuali è facile da comprendere, ma questa teoria è supportata anche dai numeri. Il nostro cervello necessita di 1/10 di secondo per comprendere un’immagine. Dall’altro lato, per leggere 200-250 parole servono in media 60 secondi. Secondo alcuni studi, le persone ricordano le informazioni visive 6 volte più facilmente rispetto alle informazioni che hanno semplicemente letto o sentito. Questo spiega anche il motivo per cui i contenuti visivi dei social media diventino virali con estrema facilità. Le infografiche online (che mostrano informazioni in forma più grafica e visuale che testuale) vengono condivise il 200% di volte in più rispetto a post senza immagini, mentre i post su Facebook contenenti delle immagini ottengono fino a 3,2 volte più interazioni di quelli che non ne hanno.

È importante esserne consapevoli, perché le immagini possono essere utilizzate per manipolarci senza che ce ne rendiamo conto.

Certe immagini scioccanti possono essere usate a fin di bene, come si vede in questi esempi di pubblicità a scopo sociale – contro l’allevamento di animali da pelliccia o contro la guida in bicicletta senza casco. L’immagine trasmette il messaggio in maniera incisiva e farà sì che ve ne ricordiate.

Come possono le immagini trasmettere significati o manipolare le persone? Guardiamo l’esempio del gruppo terroristico islamico ISIS. Attivi in Iraq e in Siria durante la guerra in Iraq (sono apparsi per la prima volta nel 2004 e sono stati sconfitti nel 2017), hanno cercato di stabilire uno stato islamico in quelle zone, il cosiddetto “califfato”. Nel loro “califfato”, l’ISIS governava con il terrore, commettendo atrocità contro le popolazioni locali, la minoranza Yazidi e le persone LGBT. I video di membri dell’ISIS che decapitavano gli “occidentali” erano parte della loro propaganda e sono stati pubblicati online diverse volte. Tuttavia, le immagini usate dall’ISIS per ritrarre lo Stato Islamico erano lontane da ciò che stava realmente accadendo sul territorio:

Come in questo esempio, l’ISIS spesso usava immagini positive che ritraevano il califfato come il paradiso in terra, per fare appello ai musulmani di tutto il mondo ed invitarli ad unirsi alla loro guerra. Di solito non pensiamo alle immagini che accompagnano gli articoli o a ciò che vediamo online. Le guardiamo distrattamente, ma nonostante ciò suscitano diverse emozioni. Ecco perché l’effetto di superiorità delle immagini è così potente. Il pericolo deriva dal fatto che elaboriamo certe informazioni automaticamente, senza esserne realmente consapevoli. Siamo costantemente bombardati di informazioni, e il nostro cervello potrebbe catturare immagini senza che noi ne siamo pienamente consapevoli.

È bene riflettere sulle immagini che vediamo sui social media o su quelle che accompagnano le notizie che leggiamo, dato che possono avere un grande impatto sul nostro modo di vedere le cose. Quando si presenta un’importante questione politica, fermatevi un attimo e guardate quali immagini vengono usate – sono neutre o trasmettono un messaggio mirato ad influenzarvi?

EFFETTO UMORISMO

L’effetto umorismo indica la propensione delle persone a ricordare meglio le informazioni quando le percepiscono come divertenti. Per esempio, un insegnante potrebbe usare l’effetto umoristico per aiutare gli studenti a imparare un certo concetto attraverso una storia divertente che lo illustra nella pratica.

Le persone in genere riescono a ricordare meglio le informazioni che percepiscono come divertenti rispetto a quelle che non percepiscono come tali. Questo perché l’umorismo migliora la memoria delle persone, sia che stiano cercando di ricordare informazioni verbali, come parole e frasi, o informazioni visive, come immagini e video. L’umorismo produce un aumento dell’interesse e dei livelli di energia e riduce nello stesso tempo le emozioni negative.

Alcune ricerche dimostrano come le persone tendono a ricordare meglio le cose divertenti, fare una pausa da lavoro guardando video divertenti aumenta la produttività quando si affrontano compiti difficili.

Ovviamente questo bias viene ampiamente usato nelle pubblicità e nel mondo di internet. Meme, barzellette e video divertenti rimangono nella nostra memoria più facilmente e vengono condivisi molto frequentemente rispetto ad un testo scritto. Ma l’umorismo può essere usato per fini scorretti – è più facile ricordare un video o un meme dove si critica qualcuno o qualcosa solo perché più divertente.

L’umorismo rende le cose inaccettabili più accettabili. Non stiamo parlando qui di umorismo “scorretto”, ma di rendere accettabili certi argomenti spinosi perché è più facile giustificarsi dicendo “dai, era solo uno scherzo”. È il caso per esempio di attacchi di cattivo gusto a determinate figure politiche.

Ancora, l’umorismo può rendere più accettabili alcune battute razziste. A volte possono essere divertenti, ma il problema di fondo è che la gente tende a ricordarle più facilmente (a causa dell’effetto umoristico). In tal modo, il messaggio divertente che il post trasmette viene accettato più facilmente dal pubblico.

L’umorismo permette di “alleggerire” alcuni messaggi che altrimenti risulterebbero troppo duri. Per questo motivo, è spesso usato impropriamente nei discorsi politici per dire cose che altrimenti sarebbero inaccettabili. Questa strategia rende un gruppo politico più avvicinabile, ma in questo modo si stabiliscono nuovi confini rispetto a ciò che è giusto o non è giusto dire.

Ciò non vuol dire che dobbiamo guardare con sospetto a tutte le barzellette; basta essere consapevoli dell’esistenza di questo bias, specialmente nel contesto politico, nelle pagine satiriche o divertenti o nelle pagine di gruppi politici. A volte basta riflettere un attimo se il messaggio, senza la battuta umoristica, supererebbe un po’ il limite o meno.

EFFETTO DORMIENTE O AMNESIA DELLA FONTE

Il cosiddetto effetto dormiente indica la nostra tendenza a ricordare le informazioni che percepiamo come divertenti, negative, scandalose e così via, ma tendiamo a dimenticare la fonte di quei messaggi. Ecco ciò che succede: sentiamo o vediamo qualche messaggio persuasivo, ci sembra sospetto e, per questo, riteniamo la fonte non credibile. All’inizio non crediamo all’informazione, ma con il passare del tempo, potremmo dimenticare da dove abbiamo ricevuto l’informazione e ricordare solo ciò che è stato detto. E qui arriva il colpo di scena: una volta che non è più chiaro da dove abbiamo preso l’informazione, cominciamo a crederci! Ciò avviene perché abbiamo dissociato il messaggio dal messaggero, cosa che lo rende più persuasivo.

È così che le fake news o ogni sorta di numeri esagerati possono rimanere nella nostra memoria. Ci “dimentichiamo” di essere critici nei loro confronti perché abbiamo dimenticato l’affidabilità della fonte.

Questo meccanismo è alla base del passaparola nel marketing; le recensioni dei prodotti si diffondono in questo modo. Potrebbe essere stato un amico ad avertelo detto, o un venditore, o hai letto una recensione in un forum. Sul momento avrete chiaro chi vi ha dato questa informazione ma, in seguito, probabilmente ricorderete solo l’essenza della recensione.

Per esempio, credere all’idea che i vaccini causino l’autismo deriva proprio dall’effetto dormiente. Esisteva in realtà uno studio che lo sosteneva, ma finì per essere screditato e, in seguito, fu eliminato da tutte le fonti scientifiche perché le ricerche si rivelarono false. Tuttavia, la gente ricorda l’informazione originale, ovvero che i vaccini causano l’autismo e dimentica che la fonte si è dimostrata essere inaffidabile.

Questo pregiudizio si può riscontrare anche nel campo della propaganda politica. Si diffondono notizie inventate di truffe, storie negative su un particolare candidato, tutte provenienti da fonti inaffidabili.
All’inizio la gente non si fiderà del messaggio, ma più tardi, quando dimenticheranno la fonte, ricorderanno solo alcune affermazioni negative nei confronti del candidato, facendosi inevitabilmente influenzare da tali informazioni, specialmente nel caso di elettori indecisi.

 


L’effetto dormiente spiega anche il perché le fake news siano così diffuse. Si tratta di notizie inventate o false che vengono create per disinformare il pubblico o bombardarlo di informazioni propagandistiche. All’inizio la gente può diffidare del messaggio ma poi, col passare del tempo, conserva solo l’informazione e dimentica la fonte. Pertanto, nel corso del tempo, coloro che inizialmente diffidavano delle informazioni potrebbero poi finire per crederci.

L’effetto scompare se alle persone viene ricordata la fonte del messaggio. L’unico modo efficace per superare l’effetto dormiente è quello di mettere in discussione le informazioni e indagare sulle fonti, per determinarne la veridicità prima di giungere a qualunque conclusione.

RETROSPETTIVA ROSEA

Tutti noi abbiamo sperimentato il fenomeno psicologico della retrospettiva rosea. Se pensi alla tua ultima vacanza, cosa immagini? Probabilmente una spiaggia sabbiosa, un momento piacevole con gli amici, tramonti bellissimi o panorami indimenticabili. Non penserete alle piccole seccature che hanno caratterizzato la vostra vacanza, come le lunghe code d’attesa per visitare alcuni monumenti, il cibo orribile, o i battibecchi con i compagni di viaggio. Questi episodi meno piacevoli svaniscono – il ricordo della vacanza è diventato più roseo – e vi rimarrà un’immagine molto più positiva rispetto a ciò che è realmente stato.


La retrospettiva rosea è una prospettiva distorta che ci fa giudicare il passato in maniera sproporzionatamente migliore rispetto al presente. Questo avviene per diversi motivi; le emozioni vissute in passato sono meno intense e pensiamo al passato in modo più astratto rispetto al presente, dove teniamo in considerazione ogni piccolo dettaglio. Un’altra cosa importante è che il presente ti permette di sapere in che modo si è chiusa l’esperienza passata. Sappiamo come sono andati a finire gli eventi passati, mentre non sappiamo come andranno a finire le nostre imprese nel presente. Questa cosa comporta un bel po’ di incertezza e di stress. Invece il passato? Quello rimane un quadro roseo di certezze. Può portarvi nostalgia, ma la nostalgia è basata su un’esperienza passata e non necessariamente su una prospettiva distorta. Retrospettiva rosea significa guardare il passato attraverso lenti rosee, distorcendo la storia reale, e dimenticando le esperienze negative.

Quando le persone ricordano il passato in maniera rosea, tendono ad applicare questo sentimento positivo anche alle varie circostanze politiche o all’intera società. Spesso, le persone tendono a giudicare positivamente i governi del passato perché li associano alla loro gioventù. Tuttavia, la loro felicità giovanile probabilmente aveva poco o nulla a che fare con un particolare governo o con un altro. È in tal senso che la propaganda politica attinge alla retrospettiva rosea, facendo appello al sentimento comune derivato dal fatto che “prima le cose erano migliori”. Come abbiamo visto, ciò avviene solo perché spesso la gente dimentica gli episodi negativi con il passare del tempo.

Molti politici amano fare appello a questo pregiudizio cognitivo. Ogni volta che qualcuno promette il “ritorno ad un passato glorioso” o “in un mondo in cui le cose funzionavano”, mira a innescare una retrospettiva rosea – la nostra tendenza a ricordare il passato in modo del tutto positivo. Probabilmente era un periodo più felice, ma di certo non a causa della politica. Forse solo perché semplicemente si era più giovani.

Guardate questo discorso tenuto da un politico della Konfederacja, un partito politico polacco di destra:
“Voglio un paese di persone che non rifiutano le loro radici e la loro fede, che non umiliano le autorità. La maggioranza del popolo polacco vuole normalità e buon senso. Vuole mantenere le tradizioni polacche e far sì che si evolvano, non liquidandole in nome di una malintesa modernità…”

L’esponente della Konfederacja dipinge un quadro roseo della Polonia tradizionale che è minacciata dai cambiamenti politici e sociali e dal progresso. È naturale che il cervello provi la sensazione che una volta tutto funzionava meglio. Ecco perché è difficile basare le proprie convinzioni politiche su una retrospettiva rosea.

Bisogna tenere a mente che il passato non è mai stato così roseo e felice come sembra quando lo ricordiamo, il presente è spesso migliore di quanto ci possa sembrare mentre lo si vive.

Sources: 1. George W. Bush address: https://www.washingtonpost.com/wp-srv/nation/specials/attacked/transcripts/bushaddress_092001.html; 2. Winston Churchill quote: https://www.bbc.com/news/magazine-29701767; 3. Ayman Al Zawahiri quote: https://www.aljazeera.com/news/2019/9/11/al-qaeda-leader-urges-attacks-on-the-west-on-9-11; 4. Matteo Salvini quote: https://www.brainyquote.com/quotes/matteo_salvini_970885; 5. Antisemitism in Medieval Europe  Source: https://www.anumuseum.org.il/blog-items/700-years-before-coronavirus-jewish-life-during-the-black-death-plague/, https://www.britannica.com/topic/anti-Semitism/Anti-Semitism-in-medieval-Europe; 6. How Misinformation on WhatsApp led to a mob killing in India, The Washington Post, https://www.washingtonpost.com/politics/2020/02/21/how-misinformation-whatsapp-led-deathly-mob-lynching-india/; 7. Melanie Tamble: 7 Tips for Using Visual Content Marketing, https://www.socialmediatoday.com/news/7-tips-for-using-visual-content-marketing/548660/; 8. pictures: www.peta.org, https://www.globalgiving.org; 9. Excerpts from a speech made by one of the politicians from the Konfederacja Party: https://www.pap.pl/aktualnosci/news%2C666017%2Cbosak-polacy-zasluguja-na-kogos-lepszego-niz-duda-czy-trzaskowski.html 

This activity is part of the Project PRECOBIAS